Il Rapporto sulla competitività europea recentemente pubblicato ha messo a nudo alcune criticità sull’attuale struttura dei regolamenti dell’Unione Europea, già note ma spesso sottaciute.
Tra gli elementi evidenziati nel Rapporto (firmato da Mario Draghi e scaricabile da qui) è dato ampio risalto alle nuove tecnologie, rilevando come l’Europa abbia perso la prima rivoluzione tecnologica, scatenata dall’avvento di Internet, per ragioni di arretratezza, e abbia allo stesso modo sostanzialmente perso la seconda, legata al cloud, in ragione della necessità di massicci investimenti non disponibili.
Il rischio è ora quello di sprecare anche l’occasione di crescita garantita dalla terza rivoluzione, quella innescata dall’intelligenza artificiale, a causa di fattori sociali, economici, ma anche anche a causa di un’eccessiva regolamentazione in ambito tecnologico.
Tali norme, secondo le intenzioni del legislatore, avrebbero dovuto favorire realtà locali creando uno scudo nei confronti delle multinazionali d’oltreoceano; dati alla mano, invece, pur limitando in alcuni ambiti la spregiudicatezza della operazioni di alcune “big-tech” non sono state efficaci nel rilanciare le realtà aziendali europee concorrenti.
Il tessuto industriale high-tech europeo, infatti, è caratterizzato da aziende medio-piccole e start-up. La sovraregolamentazione ha reso necessari adeguamenti nell’ambito della compliance che hanno consumato tempo e risorse (economiche e fisiche) in fasi delicate della crescita del business e del mercato tecnologico; il risultato è stato il rallentamento o il fallimento di realtà promettenti, oppure la loro migrazione proprio verso gli stati Uniti, alla ricerca di condizioni legislative più favorevoli.
Paradossalmente, sono stati invece i giganti della tecnologia, pur controvoglia e con diverse resistenze, ad aver affrontato più confortevolmente il cambiamento normativo, grazie ai propri mezzi economici e a strutture organizzative già consolidate.
L’opinione di Mario Draghi
E’ proprio Mario Draghi, durante il Q&A a seguito della presentazione del rapporto, a sottolineare questo drammatico errore di valutazione:
E’ implicito ma chiaro il richiamo del presidente Draghi a regolamenti quali il GDPR o il DSA, ed esplicito rispetto al recente AI Act. Proprio in merito ai sistemi di intelligenza artificiale, Draghi evidenzia con efficacia quanto possa essere paradossalmente di ostacolo alle realtà europee, citando il limite computazionale imposto dal Regolamento e già ampiamente superato dalle richieste dei modelli di IA più avanzati.
Considerando il peso di questo rapporto, garantito dall’illustre autore, e auspicando che non resti lettera morta per il bene della competitività europea, è dunque prevedibile che i regolamenti con un impatto tecnologico (ma non solo) siano rivisti sia nei contenuti sia nelle meccaniche che conducono alla loro creazione.
I possibili sviluppi
Per superare le criticità evidenziate dal Rapporto e dal suo autore, sarà dunque necessario:
- prevedere in modo più efficace l’impatto pratico che i vincoli di compliance imporranno;
- ridurli numericamente;
- limitarne l’efficacia nei confronti delle sole realtà che possono effettivamente applicare le policies indicate senza impatti significativi sul business.
Inoltre, lo studio ha finalmente mente messo a nudo il vulnus principale di qualsiasi regolamento: la tecnologia corre più veloce del legislatore. Pertanto, ogni provvedimento dovrà tenerne conto, e la burocrazia dell’Unione Europea non potrà più permettersi opere di stesura monstre che impieghino anni per redigere regolamenti nati già superati (come nel caso dell’AI Act).
L’auspicio è dunque una deregulation realizzata attraverso pochi principi e regolamenti più limitati ma più dinamici: normative che possano essere efficaci in tempi rapidi, con provvedimenti mirati e modificabili in modo agile, per far fronte rapidamente alle esigenze del tessuto produttivo europeo rispetto all’evoluzione delle nuove tecnologie.
Un equilibrio tra le esigenze di tutela dei diritti alla base dei regolamenti vigenti e le necessità delle aziende ad alta tecnologia non sarà semplice da raggiungere.
Il rischio evidente è, infatti, che le buone intenzioni di questo indirizzo possano degenerare in una schizofrenia legislativa, che renda incerto il quadro normativo ostacolando ulteriormente le realtà high-tech europee. Un altro scenario preferibilmente da evitare sarebbe un’eccessiva frammentazione regolamentare: nell’intento di creare diverse categorie di applicazione, il rischio sarebbe quello di interferire eccessivamente con le dinamiche concorrenziali di mercato. Confidiamo che il buon intento di questo processo non venga tradito.
NetworkLex sarà come sempre in prima linea nell’affrontare le evoluzioni nel campo delle normative in ambito tecnologico, continuando a fornire consulenze specifiche nell’ambito della compliance ai nuovi regolamenti.