Eredità digitale: i beni digitali e gli account nella società dell’informazione – puntata 1

1. I beni digitali di proprietà esclusiva del de cuius

La devoluzione mortis causa, per tradizione, ha sempre avuto ad oggetto beni immobili, denaro, beni mobili, oltre che beni immateriali (tra cui i crediti) e beni materiali privi di valore economico.

Con la rivoluzione digitale, però, la vita e la quotidianità di ciascun individuo sono mutate radicalmente, e con esse il patrimonio personale. Basti considerare che la pellicola fotografica è stata sostituita dalla fotografia digitale, il documento informatico si è imposto sulla carta stampata, le pubblicazioni digitali (c.d. e-books, quotidiani, banche di dati, ecc.) hanno sempre maggior successo, le musicassette e le videocassette sono scomparse, le videoteche sono state digitalizzate, le criptovalute sono divenute le nuove monete di scambio, la corrispondenza cartacea è stata soppiantata dalla posta elettronica, la condivisione di contenuti via social network è stata consacrata come nuova forma di relazione sociale, ecc.

Inoltre, con l’aumento degli utilizzatori di Internet, sono andati crescendo anche i servizi prestati in rete, via web: si pensi alle operazioni bancarie (c.d. home banking), alla stipula di contratti on line, all’acquisto di prodotti e servizi (e-commerce), all’archiviazione di dati (i c.d. cloud), solo per citarne alcuni.

Parallelamente, si sono sviluppati nuovi elaboratori elettronici, quali computer portatili, tablet, smartphone, con prestazioni computazionali elevatissime, sempre più piccoli, economici e diffusi.

L’evoluzione tecnologica ha portato con sé due conseguenze particolarmente significative dal punto di vista successorio: da un lato, grazie alle nuove tecnologie, ogni individuo è attualmente titolare di un proprio patrimonio digitale – si pensi ai giovanissimi, agli adulti e agli anziani che, attraverso un semplice smartphone, producono quotidianamente contenuti digitali (foto, video, messaggi via chat, e-mail, post su social network, ecc.) –; dall’altro lato, il patrimonio personale è andato a comporsi di beni digitali non più solo a contenuto personale, intimo o affettivo, ma spesso anche di carattere patrimoniale[1].

In ragione dell’eterogeneità dei cespiti di cui può essere oggi composto il patrimonio digitale di una persona, è necessario qualificare la natura giuridica delle situazioni soggettive connesse ai beni, in quanto la regolamentazione della successione può esserne condizionata[2].

La questione ha soluzioni meno intuitive di quanto possa apparire[3] e da ciò deriva la necessità di tenere distinto, all’interno del patrimonio digitale oggetto di successione, i beni digitali (e i diritti soggettivi sottesi agli stessi) dai supporti di memorizzazione e dai rapporti contrattuali per la prestazione dei servizi legati agli account.

1.1. (segue) I beni digitali a contenuto patrimoniale e non patrimoniale

I beni digitali sono beni rappresentati in formato binario[4] (ovverosia da una serie di 0 e 1, a-tecnicamente i “file”), di cui si possiedono i relativi diritti di utilizzo[5], contenuti all’interno di un dispositivo di memorizzazione (fisico o virtuale), che esistono o esisteranno in futuro[6].

Sono tali, ad esempio, i documenti informatici di testo (.doc, .pdf, .txt, ecc.), le immagini (.jpg, jpeg, .bmp, ecc.), i video (.mp4, .avi, ecc.), i programmi per elaboratore, i nomi a dominio, gli e-books, la corrispondenza elettronica (e-mail), i beni compravenduti on-line e, in generale, qualsiasi “dato” che sia stato creato dal defunto o su cui lo stesso poteva vantare un diritto di proprietà esclusivo e assoluto, a prescindere dalla sua incorporazione (o incorporabilità) su un supporto di memorizzazione fisico o virtuale [7].

Sebbene la distinzione patrimoniale/non patrimoniale (rectius, personale) risulti inidonea a rappresentare il fenomeno della successione digitale nella sua interezza e complessità, oltre che a governare i meccanismi di circolazione dei diritti mortis causa nel contesto della realtà digitale[8], non ci si può esimere da una ripartizione dei beni digitali nelle due categorie, immanenti alla disciplina successoria[9], tenendo tuttavia sempre presente che le due classi sono spesso sovrapponibili e inscindibilmente correlate (un bene può avere contemporaneamente contenuto patrimoniale e personale)[10].

I beni a contenuto patrimoniale si caratterizzano per il loro valore economico intrinseco e la correlata facoltà di utilizzazione economica che essi attribuiscono al titolare.

Si pensi, ad esempio, ai seguenti beni:

– i programmi per elaboratore (software) scritti da un programmatore;

– le fotografie digitali fatte da un fotografo professionista;

– i progetti di un architetto disegnati attraverso programmi per la progettazione;

– gli studi relativi a invenzioni brevettabili[11];

– i video registrati o montati da un filmmaker;

– i nomi a dominio;

– i beni digitali acquistati on-line;

– le opere dell’ingegno create con strumenti digitali.

Tra i beni digitali a contenuto patrimoniale più noti – ma non ancora così diffusi, sebbene saliti agli onori della cronaca per la loro redditività – non si possono non annoverare le monete virtuali (o criptovalute), tra le quali la più celebre è il “Bitcoin”. Trattasi di monete virtuali prive di un controvalore garantito da un soggetto terzo, che sono caratterizzate da scambi crittografati la cui autenticità e verifica è affidata alla rete stessa creata dagli utilizzatori della valuta (la blockchain di cui alla sezione I, cap. II, par. 2) e accessibili attraverso una chiave crittografica memorizzata abitualmente in formato digitale.

I beni a contenuto non patrimoniale (o personale o familiare[12]) sono, invece, tutti quei beni che sono suscettibili di essere valutati soltanto nella loro rispondenza a interessi individuali, familiari, affettivi o sociali[13].

Tali beni, in forza del principio della “patrimonialità della successione”, dovrebbero essere esclusi dalla successione[14], ma così non è. Anzi, risultando tanto importanti quanto i beni a contenuto patrimoniale, sono anch’essi oggetto di delazione, seppur con alcune differenze – non si dimentichi peraltro che molti beni digitali hanno un contenuto ibrido (personale e patrimoniale), ragione per la quale non possono essere esclusi dalle ordinarie regole della successione -.

Si menzionano a titolo esemplificativo:

– le memorie personali redatte su documento informatico di testo;

– i ritratti fotografici digitali;

– i filmati di famiglia in formato digitale;

– i ricordi digitali in generale;

Tra questi, sono comprese le corrispondenze via e-mail e, in generale, le conversazioni elettroniche private alle quali è connaturata un’esigenza di tutela della riservatezza che ne complica l’acquisizione del possesso e la trasferibilità.

1.2. (segue) I beni digitali quali opere creative dell’ingegno o a contenuto intimo e confidenziale

Sia i beni aventi carattere patrimoniale sia quelli aventi carattere non patrimoniale possono avere un contenuto eterogeno e, in alcuni casi, possono soggiacere alle regole di cui alla Legge n. 433 del 1941 sul diritto d’autore che, in ragione dei diritti che tendono a proteggere, provocano una curvatura[15], come meglio si dirà infra, negli ordinari criteri di delazione.

I beni digitali, infatti, possono, da un lato, rientrare tra le opere creative dell’ingegno, ovvero tra le creazioni dell’intelletto umano che siano caratterizzate da creatività, concretezza di espressione e appartenenza ad uno dei settori della produzione intellettuale espressamente considerati dalla legge, quali:

– i programmi per elaboratore e i lavori preparatori di uno sviluppatore;

– le opere di uno scrittore;

– le fotografie digitali fatte da un fotografo professionista;

– i progetti di un architetto;

– i disegni di un grafico;

– gli studi di professore universitario;

– i materiali creati da un inventore;

e, dall’altro lato (o nel contempo), possono rientrare tra gli “scritti” di carattere confidenziale o riferiti all’intimità della vita privata, come ad esempio:

– la corrispondenza epistolare;

– i messaggi SMS, Whatsapp, via chat;

– le memorie familiari o personali;

– i diari;

– le fotografie di famiglia;

– il materiale personale.

L’opera creativa dell’ingegno è certamente più facile da identificare grazie ai criteri stabiliti dall’ordinamento, mentre per gli “scritti” di carattere confidenziale o riferiti all’intimità della persona la questione può presentare maggiori difficoltà.

Per opera dell’ingegno si deve intendere, infatti, “ogni risultato raggiunto mediante il prevalente impiego delle facoltà della mente umana, ogni frutto di attività psichica, che vi prevalga la psicologia della conoscenza ovvero quella del sentimento”[16], che sia creativo e originale.

La creatività non attiene all’“idea”, ma alla forma espressiva: creativa sarà l’opera che sia espressione individuale e personale di un’idea da parte del creatore dell’opera. Quanto all’originalità, questa deve riferirsi alla possibilità di riconoscervi l’impronta della personalità del suo autore e contenere un (seppur minimo) carattere di novità[17].

Per quanto concerne invece gli “scritti” di carattere confidenziale o riferiti all’intimità della persona, la questione è più delicata posto che non esistono parametri normativi di riferimento, ma solo criteri giurisprudenziali.

La giurisprudenza ha al riguardo affermato, in qualche occasione[18], che lo scritto ha carattere “confidenziale” quando “il suo autore intende aprire il proprio animo di fronte al destinatario (…) per la particolare fiducia che ripone in lui”, comunicandogli “i propri sentimenti e (…) le proprie opinioni” o fatti riferiti alla sua intimità, a prescindere comunque dal tema e, in altre occasioni[19], che il carattere confidenziale risiederebbe nel fatto che lo scritto riguarda l’intimità della vita privata[20].

2. I beni digitali concessi in licenza

Rispetto ai beni costituenti il patrimonio digitale di una persona è necessario fare un’ulteriore fondamentale precisazione e distinguere quelli assistiti da un diritto esclusivo ed assoluto di proprietà in capo al titolare (fotografie, opere, scritti creati dall’autore, beni digitali compravenduti attraverso siti web o piattaforme dedicate) da quelli che ne sono invece privi, come accade spesso nel mondo di internet.

Frequentemente, infatti, il negozio giuridico sotteso alla trasmissione (inter vivos) on-line di beni digitali (programmi per elaboratore, banche di dati, brani musicali, film, periodici, ecc.) non è un contratto di vendita che comporta il trasferimento in capo all’acquirente di un diritto assoluto ed esclusivo di proprietà della copia scaricata, bensì un contratto di licenza[21], in forza del quale l’utente può utilizzare il bene oggetto dell’accordo a determinate condizioni e per un periodo di tempo determinato, mai comunque superiore alla sua vita.

La distinzione non è di lieve momento sol se si consideri che i beni digitali concessi in licenza non possono (normalmente) essere oggetto di trasferimento mortis causa (né inter vivos)[22] e, dunque, non entrano a far parte del patrimonio (digitale) ereditario – a meno di non riuscire a dimostrare che in realtà l’alienazione era idonea ad integrare una vera e propria compravendita e, in quanto tale, attributiva di un diritto di proprietà sulla copia, come tale trasmissibile[23] mortis causa –.

A tal proposito è bene precisare, per quanto occorrer possa, che anche i beni digitali conseguiti illecitamente (c.d. piratati), ove risultino corredati da sistemi di protezione, non possono essere in alcun modo oggetto di disposizione mortis causa.[24]

3. L’account e il contratto sotteso quali rapporti oggetto di successione

Con il termine “account”, invece, si è soliti definire quel sistema di riconoscimento dell’utente che gli permette di accedere ad un determinato servizio[25].

L’account, dunque, non è un “bene digitale” in senso proprio, ma una mera relazione contrattuale tra il fornitore del servizio della società dell’informazione e l’utente, in forza della quale quest’ultimo può usufruire di un servizio e di uno specifico ambiente virtuale[26], solitamente personalizzabile, avente determinati contenuti e singolari funzionalità.

In altre parole, si tratta di rapporti negoziali che traggono origine da contratti di prestazione di servizi on-line e che hanno ad oggetto la ricezione, la conservazione o il processamento di informazioni, dati personali e contenuti digitali relativi a o d’interesse per l’internet user.

Sono tali, ad esempio, gli account per:

– usufruire del servizio di posta elettronica (Gmail, Hotmail, Yahoo, ecc.);

– acquistare prodotti su un e-commerce (Amazon, Ebay, ecc.);

– utilizzare i social network (Facebook, Twitter, LinkedIn);

– archiviare i propri dati (iCloud, OneDrive, Dropbox);

– ricevere notizie (Sole24Ore, Corriere della Sera, ecc.);

– effettuare trading on-line (Bitcoin, Ethereum, ecc.);

– effettuare, ricevere e gestire pagamenti (Paypal);

– memorizzare dati sanitari;

– effettuare operazioni bancarie on-line.

Ai fini della conclusione del contratto di servizi, l’utente deve registrarsi fornendo i propri estremi identificativi (quali nome, cognome, luogo di residenza, data di nascita) e scegliere una user-id (ovvero un nome identificativo) e una password (per la protezione dei contenuti e per rafforzare l’autenticazione), dati attraverso i quali potrà identificarsi, firmare elettronicamente il contratto ed usufruire dei servizi erogati dal fornitore.

La quantità di dati richiesti in sede di registrazione è variabile in funzione della tipologia del servizio prestato e dal grado di “sicurezza” sull’identificazione dell’utente che il fornitore vuole (o deve) ottenere. I dati richiesti, ad esempio, per poter usufruire di un servizio di e-commerce saranno minori e diversi rispetto quelli richiesti per un servizio di pagamento on-line o per lo storage di dati quali le password.

L’identificazione dell’utente, come si è avuto modo di anticipare, riveste un ruolo fondamentale in rete e ancor più nell’ambito delle successioni digitali, ma allo stesso tempo ne rappresenta l’aspetto più critico.

La maggior parte dei servizi on-line si basa, come si dirà infra, su un’identificazione “debole” ad uno o due fattori (i fruitori della rete pretendono infatti di poter accedere ai servizi on-line rapidamente rilasciando, in pochi passaggi, il minor numero di dati personali), che non preclude all’utente la possibilità di crearsi un’identità digitale anche diversa da quella reale (attraverso l’utilizzo, ad esempio, di alias, nickname e username di fantasia) e ignota a suoi successori.

L’importanza dell’identificazione si evince da una semplice considerazione: solo attraverso essa sarà possibile ricostruire il patrimonio ereditario digitale riconducibile al defunto, subentrare nel rapporto contrattuale sotteso all’account sottoscritto (elettronicamente) con il fornitore del servizio, avere accesso ed entrare in possesso degli eventuali dati (rectius, beni digitali) di proprietà del de cuius.

Vi è poi un ulteriore caratteristica che contraddistingue gli account dai beni digitali. L’account, a differenza dei beni digitali, è infatti sempre di proprietà del fornitore[27] e la sua fruizione è regolata dal contratto che l’utente sottoscrive elettronicamente registrandosi, contratto nel quale sono spesso inserite clausole che impediscono o limitano il subentro degli eredi e che prevedono la cancellazione di tutti i dati riferiti all’utente deceduto o comunque la loro incomunicabilità.

La questione sarà affrontata nelle prossime puntate: preme tuttavia sin da ora segnalare che tali caratteristiche possono ostacolare (almeno sino a una pronuncia giudiziaria) la possibilità degli aventi diritto di entrare nel possesso dei beni ereditari (sia nel caso di account di proprietà di un fornitore di servizi per il pubblico, sia nel caso di account di proprietà di un privato, quale il datore di lavoro) o di subentrare nel contratto e, comunque, costituiscono un deterrente per tutti coloro che volessero avanzare (legittimamente) richieste di accesso ai dati ivi memorizzati, con gravi conseguenze, specialmente per gli account con valore patrimoniale.

Non si dimentichi, infatti, che, come i beni digitali, anche gli account possono avere un valore patrimoniale spesso rilevante che può derivare loro dal contenuto, come nel caso di account di pagamento automatizzato (PayPal, ecc.) o per il trading on-line (IQ Option, Markets, Binance, ecc.), dai contratti di sponsorizzazione[28] che lo corredano, dalle recensioni o valutazioni degli utenti (Youtube, E-bay, Tripadvisor, ecc.) o, semplicemente, dal valore acquisito per essere divenuto per gli utenti di una comunità un punto di riferimento[29] (si prendano ad esempio gli account social di personaggi famosi o c.d. influencer).

A tal proposito giova accennare alla nuova criptovaluta annunciata da Facebook per erogare servizi finanziari tramite il proprio social network: Libra.

Attraverso Libra i titolari di un account Facebook, WhatsApp o Messenger potranno inviare e ricevere pagamenti in criptovaluta, sulla base di una blockchain che, a differenza del sistema Bitcoin, sarà “permissioned” – dunque, solo un numero limitato numero di utenti sarà autorizzato a tenere traccia del ledger, “libro mastro”, della rete blockchain -.

Libra avrà un valore predeterminato che la legherà al valore di una moneta quale il dollaro. Ciò renderà stabile il valore della moneta, forzandone gli equilibri di cambio, affinché in qualsiasi momento possano essere chiari i meccanismi ed il valore della somma inviata o ricevuta.

Se il progetto Libra dovesse avere successo, l’account social acquisterà anche un valore patrimoniale, essendo direttamente ad esso associato un patrimonio di criptovaluta riconducibile al defunto, e assumerà ancor più rilevanza in caso di morte dell’utente.

[1] Magnani, L’eredità digitale, cit., p. 521.

[2] Marino, La successione digitale, cit., p. 179.

[3] Serena, Eredità digitale, cit., p. 113.

[4] Si veda sul punto la definizione data dalla Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio “relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale”; Marino, La successione digitale, cit., p. 171.

[5] Berti e Zanetti, La trasmissione mortis causa del patrimonio e dell’identità digitale: strumenti giuridici, operativi e prospettive de iure condendo, in Law and Media Working Paper Series, n. 18/2016, consultabile in http://www.medialaws.eu/la-trasmissione-mortis-causa-del-patrimonio-e-dellidentita-digitale-strumenti-giuridici-operativi-e-prospettive-de-iure-condendo-working-paper-series-no-182016/, p. 4.

[6] Serena, Eredità digitale, cit., p. 113; Carrol, Digital Assets: A Clearer Definition, The digital Beyond, disponibile su http://www.thedigitalbeyond.com/2012/01/digital-assets-a-clearer-definition/ secondo il quale “bene digitale” o “digital assets” “means, but is not limited to, files, including but not limited to, emails, documents, images, audio, video, and similar digital files which currently exists or may exist as technology develops or such comparable items as technology develops, stored on digital devices, including, but not limited to, desktops, laptops, tablets, peripherals, storage devices, mobile telephones, smartphones, and any similar digital device which currently exists or may exist as technology develops or such comparable items as technology develops, regardless of the ownership of the physical device upon which the digital asset is stored.

[7] Camardi, L’eredità digitale. Tra reale e virtuale, cit., p. 75.

[8] Marino, La successione digitale, cit., p. 188.

[9] Marino, La successione digitale, cit., p. 187.

[10] G. Resta, La successione nei rapporti digitali e la tutela post-mortale dei dati personali, in Contr. e impresa, 2019, p. 88.

[11] Gerbo, Dell’eredità informatica e di altri idola ignaviae, in Vita not., 2015, p. 597.

[12] Mastroberardino, Il patrimonio digitale, cit., p. 10.

[13] Marino, La successione digitale, cit., p. 184.

[14] Berti e Zanetti, La trasmissione mortis causa del patrimonio e dell’identità digitale: strumenti giuridici, operativi e prospettive de iure condendo, cit., p. 7.

[15] Marino, La successione digitale, cit., p. 186.

[16] Greco e Vercellone, I diritti sulle opere dell’ingegno, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Vol. XI, Utet, 1974, pp. 35, 36; Di Cocco, Il diritto d’autore nell’era digitale: la tutela dei beni informatici, in Temi di diritto dell’informatica, a cura di Sartor e Di Cocco, Giappichelli, 2017, p. 156.

[17] Di Cocco, Il diritto d’autore nell’era digitale: la tutela dei beni informatici, cit., p. 157.

[18] Trib. Milano, 13 settembre 2004, in AIDA, 2005, pp. 552 e ss.

[19] Pret. Milano, 15 febbraio 1975, in Riv. dir. comm., 1975, II, pp. 62 e ss.

[20] Morri, Il diritto d’autore. Le lettere missive ricevute dal de cuius, in Trattato delle successioni e delle donazioni, Vol. I, La successione ereditaria, a cura di Bonilini, Milano, 2009, pp. 698 – 699.

[21] La licenza d’uso è un contratto, non tipizzato dal nostro legislatore, con il quale il licenziante attribuisce, a titolo gratuito o oneroso, al licenziatario il diritto di utilizzazione di una o più copie di un programma a fronte del pagamento di un corrispettivo che può essere versato in un’unica soluzione ovvero mediante la corresponsione di un canone periodico. L’espressione “licenza d’uso” è tuttavia utilizzata impropriamente in quanto tale termine, nel nostro ordinamento, indica le tipologie contrattuali concernenti facoltà di sfruttare economicamente il diritto di privativa industriale. La giurisprudenza e dottrina maggioritaria qualificano la licenza d’uso quale contratto atipico e propendono per l’applicazione in via analogica a tale fattispecie delle norme disciplinanti il contratto di locazione, qualora la stessa risulti compatibile con le particolarità di tale tipologia contrattuale atipica. Si veda sul punto Rossello, I contratti dell’informatica, in Trattato di diritto privato, I, a cura di Rescigno, cit., p. 315 e ss.

[22] Nel 2012 è apparsa la notizia, non confermata, su molti quotidiani che il noto attore Bruce Willis si era determinato a convenire in giudizio Apple in quanto questa, attraverso il portale iTunes pubblicizzava la vendita dei file scaricabili, pur concedendo in realtà la sola licenza d’uso sugli stessi, come indicato nelle condizioni generali di contratto.

[23] L’art. 64 bis, della L.d.A. statuisce infatti, in relazione al software, che: “la prima vendita di una copia del programma nella comunità economica europea da parte del titolare dei diritti, o con il suo consenso, esaurisce il diritto di distribuzione di detta copia all’interno della comunità, ad eccezione del diritto di controllare l’ulteriore locazione del programma o di una copia dello stesso.”; Corte di Giustizia UE, C-128/2011, UsedSoft GmbH c. Oracle International Corp., in Foro It., 2012, IV, c. 377 e ss.

[24] Berti – Zanetti, La trasmissione mortis causa del patrimonio e dell’identità digitale: strumenti giuridici, operativi e prospettive de iure condendo, cit., p. 5.

[25] Serena, Eredità digitale, cit., p. 113; Carrol, Digital Assets: A Clearer Definition, The digital Beyond, disponible su http://www.thedigitalbeyond.com/2012/01/digital-assets-a-clearer-definition/ secondo il quale il termine “account digitale” o “digital accounts” “means, but is not limited to, email accounts, software licenses, social network accounts, social media accounts, file sharing accounts, financial management accounts, domain registration accounts, domain name service accounts, web hosting accounts, tax preparation service accounts, on-line stores, affiliate programs, other on-line accounts which currently exist or may exist as technology develops or such comparable items as technology develops”.

[26] Barba, Contenuto del testamento e atti di ultima volontà, Edizioni Scientifiche Italiane, 2018, p. 285.

[27] Serena, Eredità digitale, cit., p. 113.

[28] Si richiama la notizia relativa ad un noto youtuber che è stato oggetto di un accertamento della Guardia di Finanza proprio in ragione dei guadagni percepiti dalle sponsorizzazioni legate al suo canale You Tube con 3,7 Milioni di iscritti, https://www.corriere.it/tecnologia/19_maggio_29/guai-lo-youtuber-st3pny-ha-evaso-milione-euro-f684d0d0-820c-11e9-85de-e7ad434bc7c9.shtml

[29] G. Ziccardi, Il libro digitale dei morti, memoria, lutto, eternità e oblio nell’era dei social network, cit., p. 113.